
Il Covid, la scuola e l’inclusione
FISH Onlus, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap ha denunciato che “gli importanti risultati che erano stati ottenuti sul terreno dell’inclusione: lavorativa, sociale, scolastica – in una parola, esistenziale – si stanno via via smantellando, restituendoci un Paese che è diventato meno accessibile, sempre meno accogliente e sempre più egoista”.
Cosa ci aspettavamo?
Sono questi i risultati del Covid-19? È davvero questo il mondo migliore a cui auspicavamo una volta usciti dalla pandemia? Probabilmente era solo una utopia, l’utopia illusoria che, da un anno a questa parte, sognavamo per arrivare al superamento di un ostacolo. La verità è che ci troveremo in un mondo peggiore di come lo abbiamo lasciato, se non ci rimbocchiamo subito le maniche, cominciando a sostenere le persone più fragili.
L’inclusione e il lavoro
L’inclusione fa parte di quei doveri che istituzioni, scuole e aziende devono garantire e, in questo periodo, sostenere la “diversità” non è stata e non è una cosa semplice, considerando le difficoltà di una partecipazione lavorativa e attiva per tutti da remoto: l’isolamento, l’abbattimento e la sensazione di improduttività sono dietro l’angolo. E allora forse sarebbe il caso di incrementare, ancora di più e date le circostanze, l’inclusione lavorativa, attraverso l’aiuto di specialisti che individuino inizialmente il disagio a cui la persona è sottoposta, se questo non è già un disagio o un handicap certificato.
L’inclusione e la scuola
Probabilmente, a oggi, uno dei pochi aiuti concreti è arrivato dalla scuola quando – in un secondo momento – ha deciso di riaprire le porte ai BES. Questo ha fatto sì che molti ragazzi ritornassero in quell’ambiente a loro familiare che li allontana dai problemi che si trovano ad affrontare quotidianamente o dalla solitudine forzata che può sfociare in un isolamento sia sociale sia fisico. Ma questa inclusione ha considerato solo le certificazioni effettive. E gli altri ragazzi? Chi ci assicura che dove non c’è una certificazione non ci sia effettivamente un disagio? Non è inclusione anche questa? E i ragazzi che sono a scuola, come vivono loro questa sorta di “diversità”, ce lo siamo chiesto? Non dimentichiamo, inoltre, che se parliamo di disabili, accanto alla vita di un disabile esiste una rete che coinvolge, oltre al disabile stesso, anche le varie realtà che lo circondano, a cominciare dai parenti più stretti.
Insomma, ci siamo ma non ci siamo. Qualsiasi sia la manovra, rimangono comunque delle zone d’ombra o, ancor peggio, delle zone vuote. Ci vorrebbe di certo una organizzazione maggiore o forse è arrivato il momento di parlare di maggior empatia e responsabilità verso l’altro, lì dove l’altro non ce la fa.
Marianna Zito