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Investire in conoscenza: il distretto formativo per lo sviluppo economico dei territori

Il rilancio economico del nostro Paese

Qualche settimana fa, presentandosi alla camera per il voto di fiducia, il Presidente Draghi, nel giorno di insediamento del suo Governo, elencava alcune priorità per rilanciare l’economia del Paese. In particolare, soffermandosi sull’istruzione, oltre all’esigenza di tornare presto alla normalità, sottolineava che “occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale… È necessario investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo chiamati a disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo. In questa prospettiva particolare attenzione va riservata agli ITS (Istituti Tecnici Superiore). In Francia e in Germania questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. È stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza assegna 1,5 md agli ITS, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate”.

Il ruolo dell’istruzione e della formazione

Regioni e MacroRegioni

Le affermazioni di Draghi introducono, dunque, queste brevi considerazioni sul ruolo che istruzione, formazione e ricerca possono giocare nel futuro prossimo, soprattutto nelle aree meno sviluppate del Paese. In particolare si farà cenno a due questioni: il fenomeno dei NEET e il grado di istruzione della popolazione calcolato in relazione ai Sistemi Locali del Lavoro .
La prima questione discende dalla presenza nelle regioni e nelle macroregioni italiane dei cosiddetti NEET, cioè quei giovani tra i 15 e i 29 anni che non risultano occupati né inseriti in un percorso di istruzione e/o formazione. Nel grafico i valori riportati e riferiti a tale fascia della popolazione (sia maschi che femmine) sono calcolati in percentuale rispetto alla corrispondente popolazione della stessa classe di età (media annua) che insiste nella stessa aggregazione territoriale.
In particolare, nella prima parte del grafico (in azzurro) i dati si riferiscono alle regioni italiane: si passa dall’11,1% del Trentino-Alto Adige al 38% della Sicilia, con una distanza di circa 27 punti percentuali. La linea azzurra tracciata in mezzo al grafico (valore medio nazionale) evidenzia una netta demarcazione tra le regioni del Sud e quelle del Nord. In pratica, ad esempio, mentre in Sicilia 4 ragazzi su 10 con età compresa tra i 15 e i 29 anni non svolgono alcuna attività di istruzione o di formazione e non lavorano, nel Trentino o nel Veneto ciò capita solo ad 1 ragazzo su 10.
La situazione, però, non è omogenea nell’intera area meridionale: c’è un Mezzogiorno del Nord, che quasi per contiguità territoriale si sviluppa e fa rilevare dati vicini alla media nazionale, mentre le regioni più a sud, quelle individuate dalla politica regionale europea come regioni in ritardo di sviluppo, fanno registrare i dati peggiori.
Nella parte centrale del grafico, in rosso sono riportati gli stessi valori dei NEET così calcolati, ma riferiti alle macroregioni italiane. Ovviamente, sopra la media nazionale le macroregioni del Nord, con il nord-est che fa rilevare i valori più bassi (10,5%) e le isole, di contro, con il valore più alto (35,9%). In pratica, la “distanza” in termini di presenza di NEET tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno è di oltre 17 ragazzi su 100, mentre tale distanza aumenta a 18 ragazzi (15-29 anni) ogni 100 quando i dati si riferiscono alle macro-aree individuate dalla politica regionale UE, e cioè tra regioni sviluppate e regioni in ritardo di sviluppo, quindi in quelle aree dove l’intervento delle risorse aggiuntive dei fondi strutturali UE è stato, negli ultimi decenni, più consistente.

La Regione Siciliana

ITS

La seconda considerazione attiene ad un approfondimento fatto, a titolo esemplificativo, per la Regione Siciliana, dove, nel prossimo triennio si ipotizza di progettare nuovi percorsi di istruzione ITS, citati all’inizio, coinvolgendo in vario modo, i territori. L’ipotesi, che costituisce solo una possibile spiegazione del mancato sviluppo di molti sistemi locali presenti, in generale, nelle aree a ritardo di sviluppo e, in particolare, in Sicilia attiene alla stretta correlazione tra lo sviluppo ritardato di un’area e il basso tasso di qualificazione professionale e accademica della sua popolazione. Si è deciso di offrire questa chiave di lettura dei territori perché, anche se i sistemi locali tengono conto soltanto dell’aspetto della mobilità giornaliera per lavoro dei cittadini/residenti essi, tuttavia, sono aree anche funzionalmente individuate per la capacità comunque di “contenere” le attività degli individui anche fuori dall’ambito lavorativo. Infatti, tali SLL sono considerati come luoghi in cui gli individui svolgono la maggior parte delle loro attività quotidiane e quindi aree vaste adeguate per la programmazione di molti servizi alla popolazione e alle imprese e dunque per l’implementazione di politiche di sviluppo locale.
Convinti che tale impostazione metodologica possa fornire utili spunti interpretativi, il secondo grafico riporta il tasso di incidenza della popolazione con una alta qualificazione acquisita, intendendo con ciò la popolazione in possesso di almeno il diploma di tecnico superiore ITS o titolo di studio terziario di primo livello (laurea triennale), rispetto al totale della popolazione residente di 9 anni e più. Tale incidenza è calcolata sia per ciascun sistema locale del lavoro siciliano (a sinistra del grafico), sia per le regioni (parte centrale del grafico) sia, infine, per le macroregioni italiane (parte destra del grafico).
Se si considera la popolazione in possesso di almeno il diploma di tecnico superiore ITS o titolo di studio terziario di primo livello (laurea triennale) includendo, dunque, sia i laureati magistrali o specialistici sia i dottori di ricerca, si evidenza che le regioni del Mezzogiorno (Sud 13%; Isole 12,1%) e la Sicilia (12,0%) in particolare, hanno una popolazione meno scolarizzata. Ed infatti, nelle aree più sviluppate del Paese, le persone così formate e in possesso di tali titoli di studio fanno registrare valori più alti: Nord-Ovest 14,5%; Nord-Est 14,3% Centro 16,7%. Rispetto ad una media nazionale di 14,3 si nota immediatamente che i SLL siciliani stanno quasi tutti sotto tale valore.

L’idea che si intende proporre ai territori è di interrogarsi sulle proprie peculiarità per perseguire strategie di crescita economica e sociale locale attraverso la costruzione di distretti formativi, dove istruzione e formazione dovrebbero giocare un ruolo fondamentale e la ricerca dovrebbe costituire il motore dei piani di sviluppo delle città e dei territori.

Salvatore Tosi – Ricercatore di Economia Applicata CNR

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