
L’Umanesimo: un desiderio nascosto
La riflessione di Edgar Morin
Alla luce degli avvenimenti pandemici, il libro “Cambiamo strada: 15 lezioni sul Coronavirus” di Edgar Morin, scritto con la collaborazione di Sabah Abouessalam e pubblicato da Raffaello Cortina Editore, rappresenta una grande riflessione e una personale soluzione per ciò che accadrà nel prossimo futuro. Il punto di vista di Morin parte dalla sua “esperienza pluriennale”, in quanto il nostro autore è quasi centenario e porta con sé l’esperienza di un secolo, anche precedente alla sua nascita. Il messaggio che ne traiamo è la necessità dell’instaurazione di un nuovo umanesimo. Ci possiamo orientare attraverso la lettura del testo su tre cardini: sul primo poggiano le 15 lezioni vere e proprie, sul secondo le sfide del post-Corona e sul terzo Il cambiare strada.
Excursus storico sulle pandemie
I ricordi di Morin si estendono, dunque, dal 1930 ai giorni nostri. L’autore parla di una resistenza su due fronti, quella intellettuale e quella politica contro le due barbarie che minacciano da sempre l’umanità: la vecchia barbarie legata all’odio e al razzismo, che ha come unico sbocco la guerra e la barbarie fredda del calcolo e del profitto che domina il mondo. Una crisi dovuta alla pandemia che ha colto tutti di sorpresa, ma non una mente centenaria che ha già conosciuto molte crisi e guerre e che non si stupisce davanti alla previsione che “l’imprevedibile possa accadere” compresa “la possibilità di cataclismi storici”. Ecco ora il pensiero più importante che va oltremodo sottolineato: il lettore “comprenderà il mio desiderio di svegliare, o meglio di risvegliare le coscienze spendendo le mie ultime energie in questo libro”.
Cosa altro aggiungere quando nella sua introduzione afferma che la vita economica e sociale è stata paralizzata in 177 Paesi a causa di un minuscolo virus, apparso all’improvviso in un villaggio della Cina, destabilizzando gli apparati sanitari e confinando la metà della popolazione mondiale e conducendo alla morte, a Maggio del 2020, circa 350.000 persone? Certo di pandemie ne sono capitate moltissime, fin dalla conquista delle Americhe, ma questa ha causato e sta causando una megacrisi a livello politico economico, sociale, ecologico, nazionale e ancor di più a livello planetario. Tutti questi livelli sono risultati interconnessi. È la crisi della modernità. Sarebbe necessario un cambio di paradigma e, secondo Morin, questo è un processo davvero lungo e difficile e la sua riuscita richiederebbe un lungo lavoro storico “al tempo stesso inconscio, subconscio e cosciente”. Questo perché solamente la coscienza potrebbe contribuire al progredire del lavoro subconscio e inconscio. Le sue idee ci lasciano con l’amaro in bocca in quanto non è mai accaduto che siamo rimasti reclusi fisicamente come nel confinamento a casa. Siamo stati condannati a riflettere “sulle nostre vite, sulla nostra relazione con il mondo e sul mondo stesso” e, dunque, quanto accadrà dopo il Coronavirus sarà, “inquietante quanto la crisi stessa”.
“Potrebbe essere sia apocalittico sia portatore di speranza”
Infatti, la maggior parte delle persone condivide la sensazione che il mondo di domani non sarà più quello di ieri. L’avvenire è imprevedibile, ed è ora in gestazione. Riguardo alla sua idea di un nuovo umanesimo, che porta avanti nel corso del libro e delle sue conferenze, ci sono sicuramente dei principi di speranza e sono quattro. Il primo è l’improbabile. Nella storia questo principio è stato sempre costante, ma tutto è possibile, e così fu la vittoria sul nazifascismo e la mancata espugnazione di Stalingrado. Il secondo è la rigenerazione. Questa esiste nell’organismo, pensiamo alle cellule staminali che hanno delle capacità polivalenti ed embrionali non ancora attivate, e in ogni essere umano e in ogni società. Bisogna crederci affinché si esprimano perché queste forze positive, come ci ricorda Morin, che “si risvegliano insieme a forze regressive e distruttive”. Il terzo principio è stato formulato da Friedrich Hölderlin e si spiega da sé: “dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva”. Infine, il quarto riguarda l’aspirazione dell’uomo a un’altra vita, idea rintracciabile nelle utopie pensate fin dai tempi di Thomas More, fino a Fourier nell’ideologia libertaria e socialista e, come ci ricorda Morin, alle aspirazioni delle rivolte giovanili del 1968. E si potrebbero anche aggiungere le speranze nate sotto il Pontificato di Giovanni XXIII, con il Concilio Vaticano II. Allora come oggi sono le aspirazioni che devono far alimentare le vie riformatrici. E qualcosa emerge anche nelle idee di Francesco, il Pontefice attuale. Non è la religione, ma sempre l’utopia che c’è dietro a farci riflettere, insieme a Morin, che la speranza non è una certezza, in quanto ha in sé dei pericoli e delle minacce. Ma è pur sempre il punto di partenza, che si consente di “lanciare una scommessa”, la scommessa.
Un ultimo pensiero di Edgar Morin
“Essere umanista non significa soltanto pensare che facciamo parte di questa comunità di destino… significa anche sentire nel più profondo di se stessi che ciascuno di noi è un momento effimero, una parte minuscola di un’avventura incredibile che, perseguendo l’avventura della vita, realizza l’avventura umanizzante iniziata sette milioni di anni fa, con un’infinità di specie che si sono succedute fino all’arrivo di Homo sapiens… ciascuno di noi fa parte di questa avventura dell’universo… in cui ci sono ignoranza, ignoto, mistero, follia nella sua ragione, ragione nella sua follia… noi partecipiamo a questo incompiuto intessuto di sogni, gioia, incertezza… che è in noi come noi siamo in esso”, in cui ci ricorda anche il pensiero di Freud, quando dice che l’umanità in maniera imprescindibile sta tra Eros e Thanatos. L’Eros richiede sempre molta intelligenza perché può accecarci e, dunque, ecco l’amore per evitare di abbracciare Thanatos, la componente distruttiva e la pulsione di morte presenti nella psiche, contrapposta, in psicanalisi, alla vitalità sensuale dell’eros.
Salvatore Sasso