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L’emergenza ha reso introvabili le figure professionali sanitarie

Il mercato del lavoro in tutto il mondo occidentale è storicamente asimmetrico e duale. Lo è ancora di più da quando la maggioranza dei sistemi di ricerca e selezione avviene su piattaforme regolate da algoritmi. Il mercato è “asimmetrico” perché non è regolato da flussi di comunicazione efficaci tra chi cerca e chi offre lavoro. I sistemi di mediazione, oggi quasi tutti governati da piattaforme con algoritmi geolocalizzati, rendono questa asimmetria ancora più evidente, per cui le differenze regionali e locali si accentuano. Cercare una figura professionale in un mercato a basso tasso di disoccupazione risulta più difficile, allo stesso modo cercare lavoro in una città in cui scarseggia la domanda di lavoro, cioè le opportunità di occupazione. Questo fenomeno, noto come skill shortage si aggrava paradossalmente in tempi di crisi e di recessione e in maniera differente sulle differenti figure professionali: il Covid, ad esempio, ha reso introvabili medici ed infermieri. Il mercato del lavoro è “duale”, ovvero è composto da gruppi di lavoratori le cui condizioni sono molto differenti, perché permangono forti disparità di livelli contrattuali fra garantiti e outsider, e tra gli stessi garantiti.

Il mercato del lavoro e la scuola

Questa dualità è aggravata da uno scarso collegamento tra mercato del lavoro e scuola e da una incapacità di programmare percorsi di studi sulla base dell’andamento reale del mercato, oggi sempre meno prevedibile sul medio periodo. Occorre distinguere, inoltre, anche i diversi contesti geografici e la differenza tra i mercati determinati dalle diverse condizioni economiche strutturali. Il mercato del lavoro può essere denso quando c’è molta offerta e molta domanda, o al contrario meno denso. Il rapporto tra domanda ed offerta è bidirezionale, se diminuisce la domanda diminuisce anche l’offerta e si deprime l’intero contesto educativo e il patrimonio economico delle competenze disponibili.

Il caso degli infermieri

Figure professionali sanitarie - ph. Ilaria Francolino

In tempi di Covid-19 e di pandemia il caso degli infermieri che non si trovano è illuminante: è difficile mettere in comunicazione domanda e offerta, quella poca che c’è. È quasi impossibile attingere a chi finisce il percorso di studi, perché il numero di chi si laurea non è sufficiente. È ancora più difficile favorire percorsi di “migrazione” del lavoro, a prescindere dal paese e dalla città di provenienza. Ci sono poi ulteriori difficoltà: nel caso delle strutture sanitarie “private” ad esempio la pandemia ha azzerato la disoccupazione di tutte le professioni sanitarie, dai medici agli infermieri alle OSS e alle OSA. L’invecchiamento della popolazione ha aumentato il fabbisogno di figure professionali e la riapertura delle assunzioni da parte della struttura pubblica ha reso introvabili professionisti per il settore privato, meno attrattivo dal punto di vista contrattuale di quello pubblico. Il contesto internazionale ha, inoltre, reso molto difficile lo scouting in regioni del mondo. Il COVID-19 è una pandemia, per cui in tutto il mondo mancano infermieri, compresi i paesi cosiddetti in via di sviluppo. Lo scouting internazionale è possibile solo a patto di dotarsi, da parte delle aziende, di una “attrattività” da parte delle strutture che cerano lavoratori che oggi non c’è.

Gli infermieri, infine, sono figure professionali con diploma di laurea, per cui l’equiparazione del titolo di studio conseguito all’estero non è agevole né immediato. Come spiega FNOPI, la Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, per poter esercitare la professione nel nostro Paese, bisogna presuppone l’iscrizione all’albo e sostenere un esame volto ad accertare la competenza linguistica sufficiente all’interazione con i pazienti. Per chi proviene da Paesi extra-UE dimostrare di conoscere, inoltre, le speciali disposizioni che regolano l’esercizio professionale in Italia.  La ricerca dettata da urgenza delle strutture private, unita alla nuova disponibilità di posti nella sanità pubblica, tende a rafforzare la posizione di chi offre lavoro, cioè del lavoratore che legittimamente cerca opportunità migliori. Il sistema quindi tende ad una stasi, perché di fatto gli infermieri non si trovano, i salari non si alzano e i nuovi ingressi nel marcato restano insufficienti, sia nell’emergenza, sia in una prospettiva di breve e medio periodo. Allargare le maglie del numero chiuso delle università sarà inevitabile, tenendo conto dell’invecchiamento della popolazione e la variabilità dei flussi migratori necessari a riequilibrare il saldo demografico nel nostro Paese.

Come trovare gli infermieri?

Data la complessità della situazione e data l’emergenza, l’unico sistema per “trovare” gli infermieri resta quello di aumentare l’attrattività da parte delle strutture verso chi è disposto a cambiare azienda o che cerca un primo impiego. Questo equivale a stabilire contatti con Enti scuole e università che lavorano nel settore delle competenze relative al sanitario e al socio-assistenziale, sia in Italia sia all’estero, attivando e consolidando reti basate sulla sinergia e sullo scambio, esattamente come in altri settori si fa da anni, dalla meccatronica all’informatica o agli ITS e alle facoltà scientifiche specialistiche.  Favorire la presenza dell’azienda nel sistema formativo non equivale solo a migliorare per l’azienda la rispondenza tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro, ma anche a stabilire contatti diretti tra azienda e lavoratore, anticipando le emergenze legate alle fasi di turn-over.  In altri termini il mercato del lavoro può diventare meno disuguale e meno difficile, sia per hi cerca che per chi offre lavoro solo se si collega al mondo della formazione e dell’istruzione, favorendo percorso efficienti di orientamento e di programmazione delle attività.

Diego Castagno

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