
L’impatto della pandemia sul mercato del lavoro
In Italia 1,15 milioni di posti di lavoro andranno persi entro fine anno e potrebbero aumentare a 1,48 milioni in caso di un nuovo picco della pandemia di coronavirus in autunno. Stefano Scarpetta, Direttore per l’impiego, il lavoro e gli affari sociali dell’OCSE, riassume con questi numeri l’impatto della pandemia sul mercato del lavoro nel nostro Paese.
La crisi economica potrebbe aggravarsi in caso di nuova ondata di contagi, fino a quando non ci sarà un vaccino o una cura efficace a contrastare il virus.
Nel frattempo la ricetta per salvare posti di lavoro resta lo smartworking e una massiccia iniezione di risorse pubbliche per sostenere la ripartenza, a partire da politiche attive e passive per l’occupazione e di sostegno al reddito.
I numeri dell’OCSE, sul mercato del lavoro in Italia, spaventano soprattutto considerando i blocchi ai licenziamenti imposti dal governo e le risorse messe in campo fino ad ora. L’iniezione di liquidità attraverso il Recovery Fund potrebbe essere l’occasione per una ripresa delle politiche di sviluppo. Questo potrebbe aumentare la ripresa dell’occupazione attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, condizione essenziale per favorire politiche di inserimento occupazionale.
Da anni l’OCSE, nelle indicazioni fornite ai vari stati per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione, evidenzia la necessità di investimenti e azioni mirate ai giovani e finalizzata ad aumentare le competenze di base della popolazione.
Il lockdown e la crisi che ne è conseguita non hanno fatto altro che accentuare i nodi già presenti nel mercato del lavoro europeo e in particolare italiano.
Quali sono le categorie più colpite?
La pandemia non ha colpito tutti i lavoratori allo stesso modo. I lavoratori a basso salario, gli autonomi e i lavoratori a tempo determinato, i giovani e le donne sono le categorie che hanno pagato di più la crisi. Secondo l’ISTAT, nel mese di Giugno queste categorie, appunto, sono l’8,8% di chi cerca occupazione, più 0,6 rispetto al mese di Maggio. Secondo l’Istituto di statistica, in un anno, nonostante il blocco dei licenziamenti, si sono persi 700mila posti di lavoro, effetto di una contrattura del Pil pari a -14,3% nell’anno 2020.
Un ultimo dato riguarda il crescente divario tra il Sud e il Nord del Paese.
Tra gli indicatori disponibili l’incidenza dei Neet, cioè dei giovani che non studiano e non lavorano, nel Sud del paese è del 33%; questo valore è più del doppio rispetto al dato fotografato al Nord, 14,5% (ISTAT). Smentendo e sfatando infine antichi luoghi comuni, l’ISTAT rileva che al Sud in percentuale sono di più le persone che cercano lavoro rispetto al Nord. Nel Mezzogiorno la quota dei Neet interessati a lavorare è pari al 75,1%, a rispetto al 56,7% del Nord.